martedì 4 febbraio 2014

Virus vs. Mamma

Nonostante la pioggia battente, ho aperto le finestre per far dissolvere le nubi di areosol che impregnano la mia casa e vedere se con il freddo riusciamo ad eliminare un po' di birus, come ha imparato a chiamarli A.
Per tre settimane, a turno o in contemporanea, tutti e tre i bambini sono stati ammalati, per un paio di giorni anche noi genitori ci siamo uniti alla malattia generale, giusto per condividere gioie e dolori. Tre settimane sono lunghissime a passare quando hai dei figli malati e difficilissime da gestire quando uno inizia a stare bene e importuna gli altri e poi si riprende e lo devi portare a scuola, ma non sai come fare con gli altri che hanno ancora la febbre. Un casino totale, per farla breve. Ma, lo dico sottovoce, siamo guariti, tutti.
La tachipirina è scorsa a fiumi, l'antibiotico è stato somministtrato in dosi calibrate, abbiamo visto la pediatra a giorni aleterni e abbiamo anche fatto un paio di gite fuori porta al pronto soccorso. Dietro di noi rimangano: un divano sfoderato casua vomiti ripetuti della piccolina, pavimenti che implorano di essere lavati, una montagna di vestiti che tra un po' si metteranno da soli in lavatrice, qualche etto perso- non da me purtroppo-, qualche colpo di tosse qua e là, nasi che colano a intermittenza e un debito di sonno che in confronto il debito pubblico è una barzelletta.
Il guaio è che loro si riprendono in un lampo, io invece... sarà anche perché per fare dornire la scricciola, la mamma si è trasformata in cuscino, materasso, divano, sdraietta, altalena, amaca... Barbamamma è solo una dilettante, credetemi!
Quello che vorrei portare con me di questa esperienza - devastante - è il ricordo delle sue manine, anche dei piedini, veramente, che mi cercano nel sonno agitato della febbre, il suo sguardo spaventato e implorante aiuto quando il suo corpo minuscolo era sconquassato dalla tosse, il suo sorriso di riconoscenza ogni volta che accorevo da lei e la testina appoggiata sulla spalla mentre le braccine mi si stringevano intorno al collo, e anche la tenacia con cui questa piccoletta si è attacata al seno come ad un'ancora di salvezza, e che in effetti la sua salvezza è stata dato che è stata la sua unica fonte di alimentazione per dieci giorni.
E poi il ricordo dei libri letti tutti insieme sotto le coperte, i pomeriggi passati a pitturare acquarelli e impastare didò, tra un termometro e una tachipirina, i miliardi di caffé presi in compagni delle sue bambole e i discorsi sconclusionati e appasionati del mio grandone.
Caspita, sembra quasi mi sia piaciuto! Ma no, eh, non fraintendetemi lassù! Ho imparato!!! Non ho bisogno di ripetere l'esperienza. Grazie.

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